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Sessualità e disabilità: perchè è ancora un tabù?

 

Il diritto alla sessualità appartiene a tutti.

Ma perché è ancora così difficile raccontare la sessualità delle persone disabili?

La sessualità, o più nello specifico una buona qualità di vita sessuale, rappresenta una fra i maggiori diritti dell’essere umano. Non solo essa permette all’individuo e alla coppia di ottenere una buona qualità di vita generale e relazionale, ma anche di segnalare, nel momento in cui sopraggiungono difficoltà in questa sfera, problematiche di varia natura, siano esse organiche o psicologiche.

Tuttavia, se per la popolazione generale avere la possibilità di vivere la propria vita sessuale nel modo in cui più ci appartiene sembra essere una cosa quasi scontata, per le persone diversamente abili, il vivere e condividere con gli altri gli affetti, i sentimenti, o pur semplicemente il piacere sessuale, sembra quasi un’impresa.

Permane, infatti, ancora un preconcetto sociale, secondo il quale da una parte l’individuo diversamente abile è assessuato e, dall’altra, una persona attratta sessualmente dalle persone affette da disabilità è necessariamente una persona affetta da parafilia.

Sebbene in letteratura sia stata studiata l’attrazione sessuale verso le disabilità, che prende il nome di “devotismo”, questa attrazione non assume necessariamente le caratteristiche di un comportamento parafiliaco. Solo una parte di questa popolazione sembra manifestare comportamenti e interessi sessuali estremi, che vanno a ledere proprio i diritti ad una sessualità sicura delle persone diversamente abili. In questi casi, poiché la persona diversamente abile può presentare difficoltà nell’incontro con l’altro, nell’instaurare rapporti e nel comprendere le intenzioni altrui, l’assistenza sessuale può configurarsi come un servizio utile, o potremmo dire anche necessario per vivere la propria intimità.

Al contrario, l’inibizione dell’istinto sessuale può mettere a rischio la persona diversamente abile, al punto di farla trovare in situazioni dove comportamenti sessuali inappropriati per un certo contesto vengono letti come perseguibili dalla legge.

Pertanto, se la sessualità è un diritto per tutte le persone, allora la possibilità di viverla nel rispetto delle esigenze e volontà di chiunque, garantendo la propria incolumità, è altrettanto un diritto.

Le disabilità fisiche e psichiche possono alterare il modo in cui una persona vive la propria sessualità.

A volte, la stessa disabilità può portare l’individuo a vivere in modo nettamente diverso le sensazioni legate all’atto sessuale da quanto esperito dalla persona senza disabilità.

Ciò non significa, però, che le persone diversamente abili non provino, o che non siano in grado di provare, l’istinto sessuale come mezzo per il raggiungimento di una meta, sia essa per il puro piacere sessuale, come la necessità di condividere con l’altra persona emozioni e sentimenti.

Il pregiudizio sociale, secondo il quale la persona affetta da disabilità non diventa mai una persona adulta, bensì tende a mantenere lo status di eterno bambino, pervade tuttora la nostra cultura. Ciò è deducibile dal fatto che, ad oggi, nonostante le ricerche in letteratura e le varie testimonianze da parte dei familiari delle persone affette da disabilità dimostrino il contrario, i programmi educativi per queste persone non contemplano quasi mai l’educazione alla sessualità, né tantomeno l’educazione alle emozioni e alla socializzazione. In questo modo, il diritto a vivere la propria sessualità e ad esprimerla in termini emozionali, etici, fisici, psicologici, sociali e spirituali, diventa un diritto valido solo per una parte di popolazione, che vuole definirsi come “normodotata”. Andare contro a questo pregiudizio sociale significa, pertanto, educare alla sessualità le persone affette da disabilità e i loro familiari. L’adempimento di questo compito non è solo dovere degli insegnanti e degli educatori che seguono il ragazzo o adulto diversamente abile, ma anche un dovere da parte di tutta la società, che deve necessariamente garantire a ogni membro della comunità il diritto a una vita sana.

In conclusione, garantire il diritto alla sessualità può comportare diversi benefici.

In primis, la possibilità per la persona diversamente abile di esprimere i propri bisogni sessuali. Questi ultimi, tuttavia, devono essere esperiti in un ambiente sicuro e protetto, quale può essere quello dell’assistenza sessuale. In tal senso, i corsi di formazione per gli assistenti sessuali devono garantire una selezione accurata dei partecipanti, al fine di individuare persone che potrebbero rientrare nella categoria dei devoti che utilizzerebbero la disabilità come un mero feticcio utile al loro appagamento sessuale.

Il secondo beneficio, d’altra parte, può essere anche quello di limitare i rischi, come il ritrovarsi in situazioni legalmente perseguibili, a causa dell’incapacità a gestire i propri impulsi o a comprendere le regole sociali legate all’espressione della sessualità in contesti non adeguati.

Psicologa Jole 

 

 

Bibliografia:

Murphy NA, Elias ER. Sexuality of Children and Adolescents with Developmental Disabilities. Pedriatics 2006; 118 (1) 398-403.

Griffiths D. Sexuality and people with developmental disabilities: from myth to emerging practices. In: Brown I, Percy M, eds. Developmental disabilities in Ontario. 2nd ed. Toronto, ON: Ontario Association on developmental disabilities; 2003. P. 677-90

American Psychiatric Association. DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaelo Cortina, 2014

Limoncini E. Sessualità nella disabilità psichica. Noos 2017.

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